Aborto sicuro, libero e gratuito. Per tuttз!

In occasione della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro, vogliamo sollevare il problema dell’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, o IVG, per le persone LGBTQIAP+, in un clima politico che sempre più desta preoccupazione.
In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è regolamentata e garantita dalla Legge 194 del 1978 e può essere un percorso veramente difficoltoso per chi cerchi di accedervi: non solo di donne cisgender ma anche persone intersex, non binary e transgender sia che abbiano o meno intrapreso le terapie ormonali e/o si siano sottoposte a interventi chirurgici.
A tal proposito in Italia esiste un’altra legge estremamente problematica che è la 164 del 1982. Questa Legge indica come necessario l’adeguamento dei caratteri sessuali al fine di poter ottenere la rettifica dei dati anagrafici (nome e genere).

Questo “adeguamento” è previsto mediante interventi chirurgici di demolizione degli organi sessuali: interventi che rendono le persone che vi si sottopongono sterili, e che sono l’ultimo passo di una trafila che prevede un percorso psichiatrico, ora psicologico, e la terapia ormonale. Tuttavia, molte persone transgender scelgono di non sottoporsi a tali interventi chirurgici o anche di non sottoporsi ad alcuna terapia ormonale. Questo perché le esigenze delle persone transgender e non binarie sono estremamente eterogenee, molto più di quanto riesca a contemplare questa legge.

Per quanto una sentenza della corte di cassazione del 2015 sancisca che l’intervento chirurgico non sia più necessario per la rettifica del nome e del genere, bisogna sottolineare come questa sia solo una sentenza, e non una legge, e comunque per veder riconosciuta questa possibilità si rende necessario che la persona intraprenda un percorso legale, presentando un’istanza al tribunale, rimettendosi quindi alla discrezionalità di un giudice che si deve confrontare con una legge ormai obsoleta.

Non si tratta quindi né di un percorso agevole né accessibile a tuttə e ancora una volta ci ritroviamo di fronte al problema della negazione di un diritto fondamentale che è quello dell’autodeterminazione delle persone. In questo scenario si aprono una serie di problematiche, prima fra tutte la scarsissima formazione del personale sanitario sulle tematiche di salute delle persone trans*, non binary, intersex, donne bisessuali e lesbiche. Del resto, la medicina è l’espressione di una società, che come sappiamo è ancora patriarcale e si fonda su un binarismo di sesso e genere che permea aule universitarie, gli ospedali, gli ambulatori e tutti quei contesti in cui si realizza la
formazione deə opertatorə sanitarə.

Inoltre, la ricerca scientifica su IVG, gravidanze, contraccezione e salute sessuale e riproduttiva nelle persone LGBTQIAP+, in particolare trans e non binarie, è negletta: questo rappresenta un urgente problema di cui il mondo scientifico e le istituzioni devono farsi carico. L’assenza di evidenze scientifiche di alto livello porta chi governa la sanità a scotomizzare questo tema, che in realtà è cruciale. Ne deriva una mancata presa in carico da parte delle strutture del nostro Servizio Sanitario Nazionale, con invisibilizzazione delle persone coinvolte.

In termini pratici, cosa succede quando una persona LGBTQIAP+ tenta di accedere al servizio di IVG?

  • viene dato per scontato l’orientamento sessuale (etero) e l’identità di genere (cisgender) della persona che si ha di fronte;
  • il modulo per IVG è esclusivamente e interamente redatto al femminile, senza nessun’altra opzione;
  • il personale sanitario, per carenza di formazione e informazione, spesso mette in atto nei confronti delle persone trans* e non binary pratiche come il misgendering o il deadnaming;
  • molto frequentemente si instaura il gatekeeping, fenomeno che ostacola l’accesso ai servizi e al diritto di autodeterminarsi (attraverso il concetto di tutela ed infantilizzazione della persona);
  • inoltre, nell’ambito del luogo dove si sceglie di eseguire l’IVG si può essere vittima di pregiudizi sia per orientamento sessuale che per identità di genere, di colpevolizzazione e stigmatizzazione;
  • a tutto ciò, si somma il disagio dovuto all’organizzazione del servizio di IVG (come, ad esempio, l’obbligatorietà di una settimana di riflessione).

Alla luce di questa drammatica situazione, la battaglia per rendere la strada dell’IVG il più accessibile possibile deve essere condotta in un’ottica transfemminista affiché non lasci indietro nessunə e includa anche le persone trans* e non binary. Noi professionistə della salute lotteremo.

Tuttə insieme

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